Lo Speakers’ Corner di questo numero è di Silvia Penati*: la redazione l’ha invitata per apprendere il suo punto di vista sulla valutazione della ricerca – e su come rigore e trasparenza ne siano condizioni imprescindibili – per sapere di più del Working Group italiano del CoARA “TIER – Towards an Inclusive Evaluation of Research”, che si pone l’obiettivo primario di garantire, nell’esercizio della valutazione della ricerca, pari opportunità, inclusività e valorizzazione della diversità; abbiamo parlato di studentesse e di carriera delle donne nelle discipline STEM, ambito in cui il divario numerico con i colleghi uomini è ancora troppo evidente; ma il genere rappresenta solo una variabile delle diverse intersezioni che vanno considerate e affrontate ai fini di una partecipazione equa alla scienza…


Nel gennaio 2021 la Commissione Europea ha dato formalmente l’avvio a un processo di consultazione per riformare la valutazione della ricerca scientifica, azione poi sfociata nella pubblicazione dell’Agreement on Reforming Research Assessment, avvenuta il 20 luglio 2022.
Dal lancio dell’iniziativa a oggi sono 600 le organizzazioni che hanno aderito al CoARA, Coalition for Advancing Research Assessment, scegliendo, tendenzialmente, non solo di sottoscrivere l’Accordo, ma anche di diventare membri attivi della riforma, di avere un impatto reale sulla definizione delle iniziative della coalizione.
CoARA si avvia a diventare una vera e propria coalizione globale, promotrice di un’iniziativa inclusiva per il progresso delle pratiche di valutazione della ricerca.
Condivida con noi il suo punto di vista: come valuta la posizione unica del CoARA al fine di valorizzare la ricchezza di idee e contributi generati dalla diversità?

È la prima volta che si realizza un consorzio di queste dimensioni e quindi la speranza, sicuramente ben posta, è che potrà avere un impatto decisamente superiore a quello che hanno avuto le varie iniziative che sono state condotte finora. Certamente, quelli trattati, non sono argomenti nuovi e probabilmente a livelli diversi – geograficamente circoscritti, all’interno di specifiche comunità scientifiche, ma anche in seno a progetti europei – le tematiche al centro delle discussioni della coalizione sono già state affrontate e anche se molte azioni sono già state condotte, non sono mai state teorizzate e concretizzate su una scala così ampia, sia per numerosità sia – aspetto, questo, importantissimo – per tipologia di membri ed enti coinvolti. Istituzioni e comunità eterogenee, da quelle scientifiche a quelle umanistiche, presenti con rappresentanze a vari livelli gerarchici, portano sul tavolo della discussione gli approcci e le problematiche più disparate; inoltre, per la prima volta – e questo mi rende estremamente soddisfatta – si è aperto un confronto diretto tra valutatori e valutati, grazie a un ampio spettro di ruoli compresenti e alla possibilità di un confronto attivo sulle tipologie di valutazione che sono tipicamente in uso.  Si pensi a interlocutori come la Comunità Europea in primis, e quindi l’ERC, European Research Council, l’ANVUR, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, con la quale è la prima volta che riusciamo ad avere un colloquio così diretto; e sul fronte opposto, quello dei valutati, un esempio fra tutti è dato dalla partecipazione dell’associazione Marie Curie Alumni, con i suoi giovani ricercatori e ricercatrici, all’inizio della loro carriera.

La partecipazione riscontrata dimostra un’ottima apertura da parte delle agenzie di valutazione. Esistono criteri di valutazione in essere così palesemente sbagliati, che portano a tali ovvie distorsioni di giudizio, che saranno inevitabilmente rivalutati e corretti, ora che finalmente avremo la possibilità di interloquire e aprire una riflessione condivisa ed efficace sulle ricadute che ne derivano. L’impegno quinquennale per dare attuazione ai commitment sottoscritti nell’Accordo è il punto di partenza comune e imprescindibile da cui evolvere grazie al lavoro comune.

I Working Group, fondamentali per la missione del CoARA, sono stati concepiti per fornire apprendimento reciproco e collaborazione su aree tematiche specifiche. I membri partecipanti si scambiano conoscenze, imparano dalle reciproche esperienze, discutono e sviluppano risultati per far progredire la valutazione della ricerca e sostenere l’attuazione degli impegni dei membri.

Partecipano attivamente al gruppo di lavoro TIER, Towards an Inclusive Evaluation of Research – approvato dal CoARA il 12 febbraio 2024 – 28 istituzioni internazionali che contribuiscono in maniera paritaria al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  1. affrontare le fonti primarie dei pregiudizi inconsci e della discriminazione intersezionale di genere nella valutazione della qualità della ricerca e dei ricercatori in qualsiasi fase della loro carriera
  2. identificare azioni di mitigazione
  3. proporre azioni concrete per i criteri e le pratiche di valutazione della ricerca che garantiscano pari opportunità, inclusività e valorizzazione della diversità
  4. produrre linee guida e una formazione specifica di sensibilizzazione per i valutatori, basandosi sulle risorse esistenti e sui risultati di linee guida/progetti europei.

Ci piacerebbe approfondire con lei il tema dell’equità di genere negli organi che hanno compiti di valutazione in ambito accademico e di ricerca, ma più in generale gli aspetti che caratterizzano l’attività del Gruppo.

Il Gruppo nasce da un’osservazione condivisa su ampia scala, comprovata da solidi dati statistici. La letteratura sul tema del genere nella ricerca è ricca di prove che attestano l’esistenza del cosiddetto glass ceiling, o “segregazione verticale”. Una prova evidente è la cosiddetta distribuzione statistica a forbice (scissors diagram), in base alla quale anche in comunità scientifiche dove inizialmente (fino al conseguimento del dottorato di ricerca) la distribuzione di genere è abbastanza bilanciata, ovvero il numero di donne ricercatrici non è così inferiore al numero di uomini, a mano a mano che si avanza nei ruoli di carriera, le donne diminuiscono e gli uomini emergono, fino ad arrivare a posizioni apicali – rettorato, presidenze di accademie scientifiche ecc. -, dove la presenza femminile è quasi nulla.

Le carriere femminili in ambito accademico
Grafico 1: Nel 2022, in Italia nei percorsi di laurea e post laurea di I e II livello (ISCED 6-7) le donne rappresentano stabilmente oltre il 50% della popolazione di riferimento: esse costituiscono circa il 57% del totale degli iscritti e il 58,4% tra coloro che hanno conseguito un titolo di studio; nei corsi di dottorato di ricerca (ISCED 8) la loro presenza diminuisce: sono il 48,4% tra gli iscritti ai corsi di dottorato ed il 49,4% tra i dottori di ricerca. Nel successivo passaggio dalla formazione universitaria alla carriera accademica la presenza femminile continua a diminuire al progredire della scala gerarchica: nel 2022 la percentuale di donne si attesta al 50% tra i titolari di assegni di ricerca (Grade D), al 46% tra i ricercatori universitari (Grade C), al 42% tra i professori associati (Grade B) e al 27% tra i professori ordinari (Grade A). | Ministero dell’Università e della Ricerca: Focus “Le carriere femminili in ambito accademico” 2024 [Ndr]

La letteratura si è ampiamente interrogata su questa dinamica. Se l’avvicinamento agli studi scientifici registra a monte uno squilibrio di genere, le ragioni si possono ricondurre a questioni pregresse, relative all’educazione che riceviamo. Sin dalla scuola primaria, ai bambini e alle bambine la scienza è presentata in maniera non gender-neutra. Si pensi al modo in cui sono scritti i libri di testo. Per esempio, quando viene raffigurata l’immagine di uno scienziato, si tratta per la maggior parte delle volte di Albert Einstein e quasi mai di Maria Sklodowska, più conosciuta come Marie Curie (!).

Questo tipo di stereotipi possono sicuramente condizionare la scelta del percorso di studi, ma il problema persiste anche dopo l’eventuale scelta: le donne incontrano chiaramente molte più difficoltà a fare carriera e anche quando ci riescono, l’avanzamento è molto più lento rispetto a quello degli uomini. Questo è un dato di fatto.

Ciò che emerge dalla letteratura è che una delle barriere principali è rappresentata dalla discriminazione quasi non riconosciuta, propria della fase di valutazione. Coloro che sono chiamati a valutare sono spesso soggetti ai cosiddetti bias inconsci, inconsapevoli, basati su stereotipi di genere, chiaramente presenti anche nel mondo della ricerca, sia negli uomini che nelle donne.

Ecco che lo stereotipo del fisico teorico è di nuovo Albert Einstein. Il modo di fare fisica – e vi porto alla mia esperienza diretta – è stereotipizzato secondo una certa immagine, e spesso è necessario aderire a quell’immagine per essere scientificamente credibili. Anche io, vestendo spesso i panni di valutatrice, ho avuto modo di verificare quanto riscontrato in letteratura. Pensiamo per esempio alle lettere di referenze scritte in supporto di chi applica per una posizione: a parità di merito, di esperienza professionale, di seniority scientifica, gli aggettivi che sono usati nelle lettere a sostegno di ricercatrici raramente sono dello stesso calibro di quelli usati per sostenere ricercatori. Per esempio, aggettivi come “outstanding”, “genius”, “stellar” sono spesso usati per gli uomini, mai per le donne. In maniera latente questo fa la differenza in chi si trova a valutare queste lettere.

Questo tipo di discriminazioni non avvengono in modo ponderato, tutt’altro, sono veramente inconsce. L’esistenza di bias nelle procedure di valutazione è un problema molto noto, tant’è vero che, soprattutto in istituzioni del Nord Europa, sono già stati adottati provvedimenti per cercare di contenerli. In paesi come la Finlandia è in vigore una legislazione antidiscriminazione; in istituzioni come l’Università di Leuven in Belgio è obbligatorio che nelle commissioni esaminatrici in ambito accademico sia presente una figura esterna chiamata a ricoprire il ruolo di gender observer, con la funzione di vigilare che venga sempre osservata una condotta rispettosa del genere. In Inghilterra è obbligatorio che tutti i commissari di concorso guardino un video di formazione online della durata di 10, 15 minuti finalizzato a sottolineare la possibile esistenza di bias nei processi di valutazione e stimolare, di conseguenza, consapevolezza e attenzione. Il passo più importante, e a mio avviso più efficace, è proprio quello di rendere le persone consapevoli, critiche e in grado di controllare meglio il proprio atteggiamento nelle fasi di valutazione delle persone e dei progetti.

La formazione in tale direzione è complessa, anche perché quello della barriera di genere è un aspetto a cui si affiancano altre fonti di possibile discriminazione, come la provenienza geografica, la diversa estrazione culturale, religiosa e anche sociale, purtroppo.

Il WG è stato approvato il 12 febbraio scorso; il 22 marzo si è tenuto il kick-off meeting e seguiranno due anni di intense attività per lo sviluppo del piano che ci prefiggiamo. Attualmente stiamo scrivendo il Work Plan che prevede una prima ricognizione statistica – chiederemo a persone appartenenti a diverse istituzioni e comunità scientifiche di fornirci dati che comprovano non solo l’esistenza del problema, ma che ne mappano la distribuzione -, abbiamo in programma la stesura di diversi questionari da distribuire ai membri della coalizione proprio su modalità e criteri di valutazione applicati nei paesi membri, nelle istituzioni e nelle specifiche comunità scientifiche, poiché la legislazione naturalmente disciplina tutti in modo centralizzato, ma viene poi declinata in maniera diversa nelle diverse realtà. Quest’azione ci darà l’opportunità di osservare una fotografia e mettere a confronto istituzioni e paesi, consentendo di prendere a modello quelli più emancipati, che possano fungere da ispirazione per gli altri. La fase conclusiva sarà dedicata alla produzione di un documento, una guida contenente suggerimenti e politiche ad hoc per tenere sotto controllo il problema delle discriminazioni inconsce,  e una serie di mini corsi preparatori per chi si accinge a svolgere il ruolo di valutatore (in tal senso, un esempio virtuoso è fornito dal Politecnico di Torino, che ha già posto in seno alle proprie procedure di svolgimento dei concorsi, l’obbligatorietà per commissari e commissarie di guardare un video anti bias, propedeutici alle attività di valutazione stesse).

Nella realizzazione degli obiettivi del Gruppo saremo sempre molto in contatto con tutti gli altri WG per collaborare con loro e condividere attività e risultati.

Barriere sia sociali, ma soprattutto culturali ed educative concorrono spesso a scoraggiare le donne dall’intraprendere una carriera in campo scientifico o a limitarne la crescita: abbattere pregiudizi inconsci e categorie mentali con cui tutti noi percepiamo e giudichiamo le persone rappresenta una grande sfida e la barriera più difficile da abbattere. Gli stereotipi di genere e le modalità educative spesso fanno sì che le bambine e le ragazze non siano stimolate a riconoscere e valorizzare le proprie potenzialità in ambito scientifico. Il loro avvicinamento alle discipline STEM dovrebbe diventare prassi consolidata fin dalla scuola primaria. 
Che cosa è stato fatto in quest’ottica? Sono ravvisabili negli ultimi anni cambiamenti concreti?

Sono state intraprese azioni per aumentare la consapevolezza sul problema, quindi, attività di sensibilizzazione da parte delle diverse comunità scientifiche e attività di educazione per combattere gli stereotipi educativi nelle scuole, nella società civile.

Insieme con un team di fisiche teoriche, volutamente tutto femminile, una decina di anni fa abbiamo applicato con successo per una COST Action di fisica teorica. A un certo punto ci eravamo chieste come mai su centinaia di scienziati fisici teorici europei, la rappresentanza delle donne fosse solo di una sparuta decina. Così il nostro progetto COST è stato anche l’occasione per sperimentare attività di sensibilizzazione, parallele a quella della ricerca, come ad esempio seminari e tavole rotonde dedicati all’esposizione dei problemi concreti creati dalle barriere di genere, organizzati in occasione di tutti i workshop di fisica teorica finanziati dal progetto. Per la prima volta, dopo quindici o vent’anni di carriera, noi fisiche teoriche che avevamo incontrato nei rispettivi contesti problemi simili, ci siamo finalmente ritrovate a parlarne e a dare visibilità al problema. Per anni, oltre a soffrire di latenti discriminazioni, noi avevamo sofferto del fatto di non poterne discutere. Parlarne era sempre stato un tabù, ci eravamo imposte una sorta di autocensura, perché denunciare situazioni di discriminazione poteva creare disagio nei colleghi e, soprattutto, ci avrebbe esposto al rischio di veder indebolita la nostra immagine di scienziate. Saremmo state incasellate nel solito stereotipo di donna debole che avanza scuse per giustificare eventuali battute d’arresto o rallentamenti nella propria carriera.
Siamo state quindi autentiche antesignane nell’azione di denuncia dei bias di genere nella nostra comunità.

Da allora sono trascorsi oltre dieci anni e diversi obiettivi sono stati raggiunti. Terminato il progetto, ci siamo autocostituite in un consorzio, GenHet, con sede al CERN, che continua a portare avanti iniziative sul tema. Da una situazione in cui nessuno aveva mai parlato di questi aspetti (quando da giovane dottoranda mi ero permessa di chiedere a una mia collega senior perché ad una conferenza cui stavamo partecipando fosse così esigua la presenza femminile, lei mi aveva raccomandato il silenzio, sottolineando l’impertinenza della mia domanda), oggi molti colleghi uomini ci ringraziano per avere aperto gli occhi su un problema di cui non ci si rendeva pienamente conto.

Come scienziate di Bicocca stiamo facendo tanto anche nelle scuole primarie e secondarie, abbiamo realizzato una serie di attività in collaborazione con il comune di Milano, abbiamo partecipato a “I Talenti delle Donne”, stiamo partecipando alla “Primavera delle Pari Opportunità”, organizzata dal comune in collaborazione con Assolombarda. Abbiamo già organizzato due edizioni di “Le Ambasciatrici di Scienza”, progetto che vede dottorande di discipline STEM dialogare in presenza con studenti e studentesse delle scuole di ogni ordine e grado. L’idea è quella di dare visibilità a scienziate donne, soprattutto giovani, perché parlino della propria vita professionale, cosa che fanno sempre con estrema passione, e di organizzare iniziative volte a coinvolgere studenti e studentesse in attività di laboratorio, per attirare tutti e condurli, senza discriminazione alcuna, alla scoperta del mondo scientifico.

Il confronto tra le carriere femminili e maschili nelle aree comprendenti le discipline tecnico-scientifiche (STEM) per gli anni 2013 e 2022 evidenzia il fatto che in tutte le tappe della carriera accademica la percentuale di donne risulta sempre al di sotto del 50%. Negli ultimi 10 anni si apprezza comunque un aumento di circa 7 punti percentuali delle donne afferenti a questi ambiti disciplinari sia nel Grade B (da 31% a 38%) sia nel Grade A (da 17% a 23%). Fonte: Ministero dell’Università e della Ricerca: Focus “Le carriere femminili in ambito accademico” 2024

Prendiamo spunto da questi dati per parlare di Gender Equality Plan (GEP), un documento ufficiale che definisce la strategia dell’Ateneo per l’uguaglianza di genereallo scopo di garantire pari opportunità a donne e uomini e tendere a una equità di rappresentanza di genere in ogni ambito professionale e di studio.
Qual è il ruolo dell’università nel colmare il divario di genere ancora particolarmente evidente nella scelta dei percorsi accademici e per abbattere la segregazione di genere?

Le posizioni apicali, indipendentemente dall’ambito disciplinare, sono a netta prevalenza maschile, ma l’aumento della presenza femminile negli ultimi anni ci lascia guardare al futuro con una buona dose di fiducia.

Il GEP è una chiave di volta epocale, rappresenta uno spartiacque nella direzione della presa di coscienza da parte delle istituzioni. Per la prima volta la Commissione Europea ha posto un vincolo ineludibile: il GEP è obbligatoriamente richiesto alle istituzioni per permettere a chiunque vi appartenga di partecipare ai bandi di finanziamento europeo. Cosa ancora più importante: il GEP va redatto secondo linee guida europee ben precise, articolate e innovative che richiedono la programmazione di azioni molto concrete, volte ad affrontare il problema della disparità di genere ai vari livelli e nelle diverse comunità.

Il GEP di Bicocca è stato redatto in circa sei mesi dal nostro gruppo di lavoro. Il piano è costituito di tante azioni, alcune delle quali già realizzate, altre tuttora in corso, altre in programmazione. Esempi virtuosi di attuazione sono le attività di orientamento e l’istituzione di borse di studio per studentesse in quelle discipline STEM dove il genere femminile è molto sottodimensionato. Tra queste, le attività legate al CoARA sono inaspettatamente la concretizzazione di una delle azioni del GEP, che riguarda proprio la mitigazione dei bias nelle procedure di concorso.

Quando al divario di genere si associano altri bias, la riflessione su partecipazione equa e solidità della scienza diventa ancora più complessa. L’intersezione di queste variabili ostacola ulteriormente l’avanzamento delle carriere accademiche perpetuando schemi comportamentali stereotipati che portano a risultati discriminatori persistenti.
Quali sono concretamente le azioni da compiere per concentrare l’attenzione sulla creazione di una cultura davvero inclusiva e ridurre sempre di più l’effetto delle disparità sul progresso della scienza?

Io sono sempre dell’avviso che occuparsi da zero del problema più grande del mondo sia poco produttivo. Se io dovessi mettermi a tavolino e cominciare a organizzare un gruppo di lavoro per lavorare su tutti i possibili bias che si intersecano e che discriminano le persone, avrei poca possibilità di successo. Se si costituiscono invece momenti di riflessione contestualizzata – sui bias di genere, sul multilinguismo ecc. – alla fase di riflessione e attività settorializzata subentra una fase successiva di condivisione e scambio. Quindi sottoscrivo in pieno l’organizzazione in WG di cui si è dotata CoARA.
A livello di Ateneo, il GEP ha previsto la costituzione di un Osservatorio per le pari opportunità, di un organo strutturato che ha il compito di portare a compimento le azioni del GEP, ma soprattutto quello di coordinare e comunicare all’intera comunità accademica le attività che vengono condotte su queste tematiche. Un’altra iniziativa di cui spero l’Osservatorio si farà coordinatore è rappresentata da un movimento nato dal basso, su iniziativa delle dottorande e delle assegniste del nostro Ateneo, originatosi con lo scopo di raccogliere dati su molestie e mobbing: sarebbe ottimo portare tali azioni a un livello più alto, coinvolgendo davvero l’intero Ateneo, a tutti i livelli.


Per approfondire:  

Silvia Penati
*Silvia Penati è professoressa ordinaria di fisica teorica presso il Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca; è stata coordinatrice del Gruppo di lavoro sulle tematiche di genere che ha redatto il primo Gender Equality Plan di Ateneo; è una delle rappresentanti di Bicocca presso STEAMiamoci, progetto nato nel 2016 da Assolombarda per creare una rete sinergica di aziende, università, enti e associazioni impegnate in progetti di valorizzazione dei talenti femminili nelle professioni scientifiche e tecnologiche.